STORIA del finocchio
STORIA del finocchio
Il nome “finocchio” deriva dal latino “foenum” (ovvero fieno), per via delle sue foglie che ricordano il fieno, e dall’aggettivo “vulgaris”, che significa pianta molto diffusa e comune. Sembra infatti che questa pianta aromatica fosse già in uso presso le popolazioni Assire e Babilonesi e che successivamente si sia diffusa presso tutti i popoli del bacino Mediterraneo.
Tra miti, leggende, date ed aneddoti, è possibile ricostruire passo dopo passo tutta la vita di questo ortaggio tanto antico, quanto benefico.
Provando ad affidare a questa storia un ordine cronologico, non si può che cominciare da quello che è stato – probabilmente – il più grande dei popoli: i Greci.
màrathon
Per indicare il finocchio essi usavano la parola màrathon (anche nella variante màrathron). Non è un caso: al finocchio è infatti legata la memoria eroica della madre di tutte le battaglie, la battaglia di Maratona, celebre regione dell’Attica, ma anche una pianura ricca di finocchi, che il soldato ateniese Filippide attraversò correndo per ben 42 km, per annunciare ai suoi concittadini la vittoria sugli spartani. Ancora oggi la maratona olimpica ha una lunghezza pari a 42 km.
Forse è la memoria di questa battaglia che ha fatto crescere nell’antichità la credenza che il finocchio fosse un simbolo di virilità guerriera. Anche se in quell’epoca non era l’alimento che conosciamo oggi, ma era piuttosto considerato un condimento aromatico e un’erba con proprietà medicinali: i suoi “semi” – che in realtà sono il frutto della pianta – venivano mangiati per le loro qualità rigeneranti e rinfrescanti. Addirittura sappiamo che se ne nutrivano in abbondanza i gladiatori prima di entrare nell’arena.
L’utilizzo di questa pianta da parte dei Greci era così radicato nella loro cultura da trovarne citazioni lungo tutto l’arco della loro Letteratura.
Già Ippocrate (V-IV secolo a. C.) nel De morbis mulierum (Le malattie delle donne) scriveva: “Se il latte non c’è (la puerpera) beva anche il succo del finocchio e quello estratto dalle sue radici”
Poi Nicandro di Colofone (II secolo a. C.), nel Theriakà (Antidoti contro gli animali velenosi): “quando (il serpente) ancora intorpidito dal letargo si spoglia della vecchia pelle a stento strisciando, quando in primavera uscendo dalla tana è quasi cieco, un’umida cima di finocchio lo rende veloce e di vista acuta”
Ancora Dioscoride Pedanio (I secolo d. C.), nel De materia medica (La medicina): “Quest’erba quando viene mangiata aumenta la secrezione del latte e lo stesso potere ha il seme bevuto o assunto come tisana. Il decotto della chioma bevuto è utile nelle malattie dei reni e della vescica, poiché stimola la diuresi. È utile inoltre, bevuto nel vino, a chi è stato morso da un serpente e stimola il ciclo mestruale. In caso di febbre, bevuto in acqua fredda, placa la nausea ed il bruciore di stomaco. Le radici pestate e applicate con miele sanano i morsi dei cani. Il succo estratto dal gambo e dalle foglie e seccato al sole viene utilmente aggiunto ai medicamenti degli occhi adatti ad accrescere l’acutezza visiva. A questo scopo è efficace anche il succo estratto dal seme fresco insieme con le foglie e i rametti. Inoltre il succo viene estratto allo stesso modo dalle radici appena cominciano a svilupparsi. Nella parte della Spagna rivolta ad occidente il finocchio dà pure un liquido simile alla gomma. Gli abitanti del luogo quando l’erba fiorisce raccolgono la parte intermedia dello stelo e lo accostano al fuoco perché più facilmente trasudando grazie alla forza del calore faccia uscire la sostanza gommosa. Essa è ancora più efficace dello stesso succo nella preparazione di medicamenti per gli occhi; Preparano allo stesso modo (immergendovi i semi) il vino aromatizzato col finocchio (nel testo originale marathìtes), con l’aneto e col prezzemolo, con le stesse proprietà (di quello aromatizzato con il sedano, di cui ha parlato prima e che sono: stimolazione dell’appetito, conforto per i sofferenti di stomaco, facilitazione della diuresi e soluzione contro l’alitosi).
Secondo alcuni proprio l’abitudine di certi osti ad aromatizzare il vino con i semi di finocchio per mascherarne la qualità scadente sarebbe alla base di infinocchiare nel significato di raggirare.
Ateneo di Naucrati (II-III secolo d. C.) ne I deipnosofisti (I saggi a banchetto), propri in relazione alla battaglia di Maratona cita Ermippo di Smirne (storico del III-II secolo a. C.): “Ermippo dice che alla fine memori del lieto evento di Maratona tutti mettono sempre il finocchio nelle olive in salamoia”
Nemmeno la mitologia greca riesce a fare a meno di citare questa pianta millenaria. In alcune versioni del mito di Prometeo ad esempio, il finocchio gioca un ruolo importante nel momento fondativo della civiltà, per il suo legame con la diffusione del fuoco.
Prometeo è infatti l’eroe cui Zeus affida il compito di forgiare gli uomini a partire dal fango. Da questo legame originario nasce l’amicizia protettiva di questo eroe per gli esseri umani. È lui infatti che successivamente riuscirà a dotare gli esseri umani di intelligenza e memoria. La sua figura è ancora oggi un simbolo di ribellione e di sfida all’autorità ed anche una metafora dell’aspirazione ad un sapere libero dai vincoli del mito e della superstizione, per un progresso che elevi la condizione degli umani. Questa immagine è legata in gran parte alla leggenda del “furto” del fuoco. Se il padre degli dei Zeus cominciava a ritenere gli umani troppo pericolosi e troppo poco rispettosi della sua autorità, Prometeo, forse per quel ruolo originario di artefice materiale della loro venuta al mondo, garantisce agli umani la sua protezione. Prometeo avrà addirittura la sfrontatezza, durante un banchetto, al momento di distribuire il cibo agli invitati – sia uomini che dei – di ingannare gli dei, facendo in modo che essi scegliessero di mangiare solo gli scarti e le ossa rimanenti da alcuni tagli di carne, così da permettere agli uomini di poter gustare le carni e i cibi più gustosi. L’irritazione di Zeus sfocerà nella decisione di punire gli uomini e la loro sfrontatezza privandoli del fuoco, con l’idea quindi di ricacciarli ad un livello di civiltà primitivo.
Prometeo, che considerava gli umani le sue creature, con l’astuzia e l’audacia che gli erano propri, riuscì a rubare una scintilla arrampicandosi dall’Olimpo e nascondendola nella cavità di un gambo di finocchio, riuscì a farla uscire dalla “casa degli dei” restituendo agli umani il fuoco. Zeus andò su tutte le furie, lo incatenò ad una rupe ai confini del mondo per farlo poi sprofondare nel Tartaro. Prometeo divenne simbolo della lotta per il progresso e della libertà contro il potere, nonché il padre fondatore della gastronomia: il finocchio da crudo diventa cotto, ponendosi dunque addirittura all’origine dell’accesso al fuoco e quindi della possibilità di cucinare i cibi, che come sappiamo costituisce un momento essenziale della civilizzazione umana.
Foeniculum vulgare
Anche l’antica Roma subì il fascino di questa pianta, certamente per via delle numerose proprietà che erano in grado di migliorare il benessere umano.
Lucio Giunio Moderato Columella (I secolo d. C.) nel De re rustica così scriveva: “Le malattie poi, per quanto infettive, debbono essere debellate cercando un rimedio. Allora vanno mescolate le radici di ligustico e di eringio coi semi di finocchio e insieme con farina di frumento fritto e macinato debbono essere cosparse di acqua e con questo medicamento bisogna stimolare la salivazione nel bestiame”
O ancora, il suo contemporaneo Plinio: “Il serpente che a causa del letargo ha la pelle contratta si libera di quest’impedimento col succo del finocchio (nel testo originale fenìculum) e fa la mura in primavera. Si spoglia a cominciare dal capo impiegandoci non meno di un giorno e di una notte, in modo che la parte interna della pelle diventa esterna. Poi per ovviare alla vista offuscata dal letargo invernale strofinandosi contro il finocchio si unge gli occhi e si ristora; se le scaglie si fossero appiccicate se ne libera grattandosi contro le spine del ginepro; Le altre piante sono della specie simile a canna, come il finocchio graditissimo, come ho detto, ai serpenti, adatto a condire più cose quando è secco; I serpenti nobilitarono il finocchio perché gustandolo, come ho detto, si spogliano della pelle vecchia e col suo succo ripristinando l’acutezza visiva, per cui si capì che poteva anche negli uomini eliminare l’offuscamento della vista. Il finocchio si raccoglie quando il gambo comincia ad ingrossare, si secca al sole e si unge col miele. Nasce dappertutto. Pregiato è il succo che si ricava in Spagna dalle sue lacrime e dal seme fresco, nonché dalle radici incise nella prima germinazione; Di questa specie c’è anche la selvatica che alcuni chiamano ippomaratro, altri mirsineo, con le foglie più grandi, dal gusto più aspro, più alto, grosso un braccio, dalla radice bianca. Nasce in luoghi caldi ma sassosi. Diocle parla di un’altra specie di ippomaratro, dalla foglia lunga e stretta, col seme simile a quello del coriandolo. Da quello coltivato si ricavano medicine contro il morso degli scorpioni e dei serpenti, bevendone il seme nel vino. Il succo si stilla nelle orecchie e in esse ammazza i vermetti. Esso si mette in quasi tutti i condimenti ed è adattissimo anche ai cibi piccanti. Si mette anche sotto la crosta del pane. Il seme placa i dolori di stomaco, assunto anche se c’è febbre. Pestato in acqua placa la nausea. È molto consigliato per i polmoni e per il fegato. Blocca la diarrea quando se ne prende un po’, stimola la diuresi, cotto mitiga le coliche e bevuto favorisce la secrezione del latte. La radice assunta con acqua di orzo purifica i reni dopo che si è assunto il succo cotto della pianta o il seme. La radice cotta nel vino giova anche in caso di idropisia o di convulsioni. Le sue foglie imbevute di aceto si applicano sui gonfiori ardenti. Fanno eliminare i calcoli della vescica. Bevuto in qualsiasi modo aumenta la produzione di sperma. È adattissimo per le parti genitali sia con la radice cotta nel vino da applicare calda che da spalmare pestata in olio. Molti l’applicano con cera sui gonfiori e sulle contusioni. Usano pure la radice nel succo o con miele contro il morso dei cani e col vino contro quello del millepiedi. L’ippomaratro è molto più potente in ogni uso. Soprattutto fa espellere i calcoli. Giova alla vescica con vino leggero e nelle donne risolve i ritardi mestruali; in questo è più efficace il seme della radice. La dose nell’uno e nell’altro, da bere dopo averli pestati, corrisponde a quanto se ne prende con due dita. Petrico, che scrisse sui serpenti, e Mittone, che scrisse sulle medicine che si estraggono dalle radici, ritennero che nulla fosse più efficace dell’ippomaratro contro i serpenti. E Nicandro giustamente non lo pose tra gli ultimi.
Nella sua “Storia naturale” Plinio esalta il potere afrodisiaco del finocchio, assunto attraverso vari infusi concentrati. Questa idea è forse legata al fatto che il fiore giallo e profumato della pianta di finocchio era sacro per Adone, figlio ed amante di Venere. Amatissimo per la sua bellezza e sensualità dalle donne, ma anche dagli uomini, Adone è il portatore di una bellezza ambigua ed avvolgente ed a lui erano dedicati i “giardini di Adone”. Si trattava di vasi in cui si seminavano grano, orzo, lattuga e finocchio: una rappresentazione della natura e della sua forza vitale in miniatura, che in primavera esplode in tutto il suo colorato vigore.
L’associazione del finocchio alla sfrenatezza sessuale è probabilmente legata alla descrizione delle licenziose feste di Dionisio, il dio di tutte le ebbrezze, in cui i sacerdoti del piacere dionisiaco si decoravano la testa con corone fatte di finocchio
MEDIOEVO
Mitologia, credenze popolari, superstizioni, saperi naturalistici: tutto concorre ad una ricchissima simbologia che partendo dal Mediterraneo ha diffuso in tutta Europa – e poi in tutto il mondo – l’aroma inebriante e sensuale del finocchio. Lungo tutto l’arco del Medioevo l’uso di questa pianta resta costante: se ne approfondiscono le qualità e si perfezionano i suoi utilizzi.
Il finocchio risulta ad esempio incluso tra le colture che si raccomanda di coltivare negli orti e nelle fattorie imperiali all’interno del “Capitulare de villis”, una famosa ordinanza emessa da Carlo Magno tra il 770 e l’800, per sfruttare al meglio le risorse generate dalle attività agricole e pastorali della popolazione.
La Scuola Medica Salernitana, che è stata la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel medioevo (IX secolo) insegna che il seme del finocchio, bevuto col vino, ecciti i “piaceri di Venere” e abbia la forza di risvegliare negli anziani il vigore giovanile: “Semen cum vino sumptum veneris moves actus, atque senes eius gustu juvenescere dicunt”.
Re Edoardo I d’Inghilterra (1239 – 1307 d.C.) aveva una vera fissazione per i semi di finocchio e alla corte se ne consumavano circa 2 kg al mese (alcuni documenti dei suoi libri contabili del 1281 attestavano l’acquisto di 8,5 libbre di semi di finocchio al mese). Oltre che come condimento, probabilmente era utilizzato anche come soppressore della fame. Una tradizione portata in Europa – e poi in America – dai Puritani che usavano andare in chiesa con dei fazzoletti nei quali erano avvolti un po’di semi da masticare per allontanare la fame, durante le lunghe cerimonie religiose (furono per questo anche chiamati “semi di incontro”).
Storia moderna
Alla fine del 1700 il finocchio fu aggiunto a quello che veniva visto come un tonico medicinale: l’assenzio, il quale diventerà poi estremamente popolare tra i bohémien dopo la Prima Guerra Mondiale sia in Europa che negli Stati Uniti. L’assenzio è anche chiamato “fata verde” ed ancora oggi si ottiene distillando principalmente semi di anice verde, artemisia, absinthium e semi di finocchio.
Tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 i medici americani ancora lo prescrivano sia come rimedio digestivo, galattagogo ed emmenagogo, sia per nascondere il sapore sgradevole delle altre medicine.
Oggi il finocchio è una coltura che ha mantenuto tutte le proprietà tramandataci dagli antichi, ma che ha trovato anche un largo uso in cucina, soprattutto nell’ambito della cultura europea: può in tal senso essere considerato uno dei simboli della dieta Mediterranea.
Dolce Lucano ha cercato di rispettare la sua storia millenaria selezionando e coltivando un finocchio in grado di esprimere la massima qualità di questo prodotto che è, ad oggi, una eccellenza del Made in Italy